Il Papa a Genova: lavoro per tutti, non reddito per tutti

GENOVA – CORNIGLIANO – Un discorso intenso e ricco di stimoli quello pronunciato da Papa Francesco allo stabilimento Ilva di Cornigliano. La richiesta di lavoro per tutti, e non reddito per tutti. Al tempo stesso un’economia fatta di volti, con imprenditori che lavorino al fianco dei loro dipendenti. Di seguito la risposta di Papa Francesco ad un imprenditore.

“Buongiorno a tutti! E’ la prima volta che vengo a Genova, e essere così vicino al porto mi ricorda da dove è uscito il mio papà. Questo mi dà una grande emozione. E grazie dell’accoglienza vostra. Il signor Ferdinando Garré: io conoscevo le domande, e per alcune ho scritto idee per rispondere; e tengo anche la penna in mano per riprendere qualcosa che mi venga in mente al momento, per rispondere. Ma a queste domande sul mondo del lavoro ho voluto pensare bene per rispondere bene, perché oggi il lavoro è a rischio. E’ un mondo dove il lavoro non si considera con la dignità che ha e che dà. Per questo risponderò con le cose che ho pensato e alcune che dirò al momento. Faccio una premessa. La premessa è: il mondo del lavoro è una priorità umana. E pertanto, è una priorità cristiana, una priorità nostra, e anche una priorità del Papa. Perché viene da quel primo comando che Dio ha dato ad Adamo: “Va’, fa’ crescere la terra, lavora la terra, dominala”. C’è sempre stata un’amicizia tra la Chiesa e il lavoro, a partire da Gesù lavoratore. Dove c’è un lavoratore, lì c’è l’interesse e lo sguardo d’amore del Signore e della Chiesa. Penso che questo sia chiaro. E’ molto bella questa domanda che proviene da un imprenditore, da un ingegnere; dal suo modo di parlare dell’azienda emergono le tipiche virtù dell’imprenditore. E siccome questa domanda la fa un imprenditore, parleremo di loro. La creatività, l’amore per la propria impresa, la passione e l’orgoglio per l’opera delle mani e dell’intelligenza sua e dei lavoratori. L’imprenditore è una figura fondamentale di ogni buona economia: non c’è buona economia senza buon imprenditore. Non c’è buona economia senza buoni imprenditori, senza la vostra capacità di creare, creare lavoro, creare prodotti. Nelle Sue parole si sente anche la stima per la città – e si capisce questo – per la sua economia, per la qualità delle persone dei lavoratori, e anche per l’ambiente, il mare. E’ importante riconoscere le virtù dei lavoratori e delle lavoratrici. Il loro bisogno – dei lavoratori e delle lavoratrici – è il bisogno di fare il lavoro bene perché il lavoro va fatto bene. A volte si pensa che un lavoratore lavori bene solo perché è pagato: questa è una grave disistima dei lavoratori e del lavoro, perché nega la dignità del lavoro, che inizia proprio nel lavorare bene per dignità, per onore. Il vero imprenditore – io cercherò di fare il profilo del buon imprenditore – il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori, perché lavora accanto a loro, lavora con loro. Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore. Se lui non ha questa esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore. Condivide le fatiche dei lavoratori e condivide le gioie del lavoro, di risolvere insieme problemi, di creare qualcosa insieme. Se e quando deve licenziare qualcuno è sempre una scelta dolorosa e non lo farebbe, se potesse. Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente – no, chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando la gente, non è un buon imprenditore, è un commerciante, oggi vende la sua gente, domani vende la propria dignità –, ci soffre sempre, e qualche volta da questa sofferenza nascono nuove idee per evitare il licenziamento. Questo è il buon imprenditore. Io ricordo, quasi un anno fa, un po’ di meno, alla Messa a Santa Marta alle 7 del mattino, all’uscita io saluto la gente che è lì, e si è avvicinato un uomo. Piangeva. Disse: “Sono venuto a chiedere una grazia: io sono al limite e devo fare una dichiarazione di fallimento. Questo significherebbe licenziare una sessantina di lavoratori, e non voglio, perché sento che licenzio me stesso”. E quell’uomo piangeva. Quello è un bravo imprenditore. Lottava e pregava per la sua gente, perché era “sua”: “E’ la mia famiglia”. Sono attaccati. Una malattia dell’economia è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori. L’imprenditore non va assolutamente confuso con lo speculatore: sono due tipi diversi. L’imprenditore non deve confondersi con lo speculatore: lo speculatore è una figura simile a quella che Gesù nel Vangelo chiama “mercenario”, per contrapporlo al Buon Pastore. Lo speculatore non ama la sua azienda, non ama i lavoratori, ma vede azienda e lavoratori solo come mezzi per fare profitto. Usa, usa azienda e lavoratori per fare profitto. Licenziare, chiudere, spostare l’azienda non gli crea alcun problema, perché lo speculatore usa, strumentalizza, “mangia” persone e mezzi per i suoi obiettivi di profitto. Quando l’economia è abitata invece da buoni imprenditori, le imprese sono amiche della gente e anche dei poveri. Quando passa nelle mani degli speculatori, tutto si rovina. Con lo speculatore, l’economia perde volto e perde i volti. E’ un’economia senza volti. Un’economia astratta. Dietro le decisioni dello speculatore non ci sono persone e quindi non si vedono le persone da licenziare e da tagliare. Quando l’economia perde contatto con i volti delle persone concrete, essa stessa diventa un’economia senza volto e quindi un’economia spietata. Bisogna temere gli speculatori, non gli imprenditori; no, non temere gli imprenditori perché ce ne sono tanti bravi! No. Temere gli speculatori. Ma paradossalmente, qualche volte il sistema politico sembra incoraggiare chi specula sul lavoro e non chi investe e crede nel lavoro. Perché? Perché crea burocrazia e controlli partendo dall’ipotesi che gli attori dell’economia siano speculatori, e così chi non lo è rimane svantaggiato e chi lo è riesce a trovare i mezzi per eludere i controlli e raggiungere i suoi obiettivi. Si sa che regolamenti e leggi pensati per i disonesti finiscono per penalizzare gli onesti. E oggi ci sono tanti veri imprenditori, imprenditori onesti che amano i loro lavoratori, che amano l’impresa, che lavorano accanto a loro per portare avanti l’impresa, e questi sono i più svantaggiati da queste politiche che favoriscono gli speculatori. Ma gli imprenditori onesti e virtuosi vanno avanti, alla fine, nonostante tutto. Mi piace citare a questo proposito una bella frase di Luigi Einaudi, economista e presidente della Repubblica Italiana. Scriveva: “Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. E’ la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno.Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con gli altri impegni”. Hanno quella mistica dell’amore. La ringrazio per quello che Lei ha detto, perché Lei è un rappresentante di questi imprenditori. State attenti voi, imprenditori, e anche voi, lavoratori: state attenti agli gli speculatori. E anche alle le regole e alle leggi che alla fine favoriscono gli speculatori e non i veri imprenditori. E alla fine lasciano la gente senza lavoro.