Il saluto alle vittime di Kabul. Il messaggio del Papa.

ROMA – La preghiera e il raccoglimento sono stati il modo di salutare dignitosamente i sei parà italiani che hanno perso la vita nell’attentato kamikaze di Kabul il 17 settembre. La Basilica di S. Paolo fuori le mura era gremita di militari e civili, presenti le più alte cariche dello Stato: il presidente della Repubblica Napolitano, i presidenti di Senato e Camera Schifani e Fini, il presidente del Consiglio Berlusconi.
All’inizio della Messa esequiale è stato letto il telegramma di Benedetto XVI: il Papa, profondamente addolorato ha espresso sentite condoglianze ai familiari e alle rispettive comunità, si è unito spiritualmente alla celebrazione, ha invocato l’intercessione di Maria e ha inviato la benedizione apostolica con particolare pensiero per i militari feriti.
Nell’omelia l’Arcivescovo ordinario militare per l’Italia, Mons. Vincenzo Pelvi, ha ricordato uno per uno i militari vittime dell’attentato: Antonio, Davide, Giandomenico, Matteo, Massimiliano, Roberto. Alla luce del Vangelo, il vescovo ha sottolineato che questi ragazzi hanno seguito il Signore Gesù; inoltre, ha ringraziato le famiglie, che hanno insegnato loro il lessico della pace, sino all’eroismo della carità. “Nessun militare caduto per il proprio dovere -ha detto Mons. Pelvi- è eroe da solo; lo è insieme alla famiglia e alla patria”. L’ordinario militare ha anche valorizzato le missioni di pace, guidate dalla carità e dalla verità: “il mondo militare contribuisce a formare una cultura di solidarietà e di responsabilità globale”. Mons. Pelvi ha indicato l’esigenza di concreta attenzione a quella responsabilità di proteggere che è la ragione delle missioni di pace. Se uno Stato non è in grado di proteggere il suo popolo da violazioni gravi dei diritti umani, la comunità internazionale è chiamata ad intervenire, dando incoraggiamento anche ai più flebili sdegni di democrazia.
Il dramma delle vittime militari e civili per le numerose situazioni di conflitto nel mondo, è stato sollevato più ampiamente da Ben XVI nell’Angelus domenicale con parole accorate: sono fatti -ha detto- a cui non possiamo abituarci, che suscitano profonda riprovazione.