CITTA’ DEL VATICANO – Il 2 aprile del 2005, con la morte di Giovanni Paolo II, si chiudeva uno dei più straordinari Pontificati nella storia della Chiesa. In questo quinto anniversario della morte di Karol Wojtyla, che coincide con il Venerdì Santo, torniamo indietro negli anni, all’aprile del 1979, alla prima Pasqua celebrata da Giovanni Paolo II. Chi è Cristo? E’ il 5 aprile 1979 quando Giovanni Paolo II rivolge questa domanda agli universitari romani, che partecipano ad una Messa in preparazione della Pasqua. Il “Papa venuto da lontano” guida da sei mesi la Barca di Pietro e da un mese ha pubblicato la “Redemptor Hominis”. La sua prima Enciclica che traccia il programma del suo Pontificato. Un programma riassunto in una parola, in una Persona: Cristo. Karol Wojtyla ricorda ai giovani di Roma che Gesù, il Figlio di Dio, “ha accettato la necessità della morte”, ha “accettato la realtà del morire umano”. E proprio per questo Egli è “colui che ha compiuto un rivolgimento fondamentale nel modo di capire la vita”: “Ha mostrato che la vita è un passaggio, non solamente al limite della morte, ma a una vita nuova. Così la Croce per noi è diventata suprema cattedra della verità di Dio e dell’uomo. Tutti dobbiamo essere alunni – ‘in corso o fuori corso’ di questa cattedra. Allora comprenderemo che la Croce è anche la culla dell’uomo nuovo”. A quella Croce, il Papa polacco che viene da un terra martire volge lo sguardo il 13 aprile nella “Via Crucis” al Colosseo. “Guardando questa Croce, la croce degli inizi della Chiesa”, è la sua esortazione, “dobbiamo sentire ed esprimere una solidarietà particolarmente profonda con tutti i nostri fratelli nella fede, che anche nella nostra epoca sono oggetto di persecuzioni e discriminazioni”: “Guardando la Croce nel Colosseo, chiediamo a Cristo che non manchi loro – così come quelli che una volta hanno subìto qui il martirio – la potenza dello Spirito di cui hanno bisogno”. Certo, riconosce Giovanni Paolo II nella Veglia Pasquale, “la parola morte si pronuncia con un nodo in gola”. “Essa è ogni volta qualcosa di sconvolgente”. Ma il cristiano sa che Cristo, mediante la Croce, ha vinto la morte. E nella notte già possiamo vedere le luci dell’alba: “Ecco la notte della Grande Attesa. Attendiamo nella fede, attendiamo con tutto il nostro essere umano Colui, che all’alba ha spezzato la tirannia della morte e rivelato la Divina Potenza della Vita: egli è la nostra Speranza”. E questa Speranza, la vera Speranza, Giovanni Paolo II annuncia al mondo il 15 aprile del 1979 nel Messaggio Urbi et Orbi per la Pasqua: “Come è per noi eloquente questo Giorno, che parla con tutta la verità della nostra origine. Pietra angolare di tutta la nostra costruzione e lo stesso Cristo Gesù. Questa pietra, scartata dai costruttori, che Dio ha irradiato con la luce della risurrezione, si trova posta al fondamento stesso della nostra fede, della nostra speranza e della nostra carità”. Nel Giorno del Risorto, nel “Giorno dell’universale speranza”, Karol Wojtyla invita tutti a scoprire di nuovo la propria vocazione che ognuno riceve già nel Battesimo. Una missione, sottolinea, vivificata “dalla gioia della Risurrezione”. E conclude con un’invocazione di speranza, che riecheggia forte oggi come allora. Il Giorno di Pasqua è l’inizio di un tempo nuovo: “L’uomo non può mai perdere la speranza nella vittoria del bene. Questo giorno diventi oggi per noi l’esordio della nuova speranza”