S. Messa a Chiavari per il Papa. Il testo integrale dell’omelia del Vescovo

<br />TIGULLIO – Testo integrale dell’omelia di Mons. Alberto Tanasini in occasione della S. Messa per Benedetto XVI.Ci raccoglie qui, questa sera, un certo sentimento filiale verso il Papa che venerdì scorso ha compiuto 83 anni ed oggi ricorre il quinto anniversario della Sua elezione alla cattedra di S. Pietro. Ci raccoglie il desiderio di gratitudine, prima di tutto verso il Signore che continua a guidare la Sua Chiesa attraverso gli uomini, gli uomini che Egli chiama al ministero, come chiamò Pietro per investirlo del compito di presiedere alla carità, alla comunione cattolica, come maestro e pastore. Ma anche di gratitudine verso colui che tale ministero compie oggi con dedizione ed autentico spirito di servizio, come “portato dove egli non vuole”, per riprendere l’espressione del Vangelo di Giovanni e mosso dalla volontà di obbedire all’invito: “Tu seguimi”. Ci raccoglie la volontà di esprimere al Papa vicinanza e sostegno in un momento non facile per Lui, per il Suo compito apostolico, e nello stesso tempo esprimere, questo desideriamo, anche un senso alto di giustizia, che sia pienamente riconosciuto il cristallino impegno di Benedetto XVI senza timori per la verità, per la santità della Chiesa, per un rinnovamento interiore nella fedeltà a Cristo Gesù, specie da parte dei ministri della Chiesa, per l’umile e sofferente riconoscimento delle più gravi mancanze, per avere parlato di vergogna e di rimorso, per essersi fatto carico del dolore e delle ferite di chi è stato vittima, per avere agito con decisione nell’affrontare i problemi apertamente, per l’incoraggiamento dato a tutti coloro, i più, che sono fedeli nel servizio. Sia riconosciuto tutto questo senza mistificazioni, senza rovesciare la verità, la realtà dei fatti, senza tentativi di svilire un magistero sempre alto. Dunque un profondo senso di giustizia viviamo qui. E noi viviamo questi sentimenti, questi desiderii, queste intenzioni nella preghiera. La preghiera non è un facile rifugio e tantomeno una fuga, è invece il percorrere la via autentica della Chiesa. Abbiamo ascoltato la lettura del libro degli Atti: noi sappiamo che questo testo non solo vuole raccontare le origini della Chiesa, dell’agire degli Apostoli, a cominciare da Pietro, dal cammino mosso e guidato dallo Spirito Santo, ma questo testo è lasciato a noi come paradigma, cioè come modello di comportamento per la vita della Chiesa, nella storia. Le situazioni possono essere storicamente diverse, ma si tratta sempre di Pietro: testimone, maestro e guida a trovarsi in gravi difficoltà. Gli Atti dicono: “…dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui”. Sembra la confessione di un impotente, in realtà è l’affermazione della vera forza. Ecco, in questo atteggiamento di preghiera si esprime la consapevolezza della missione di Pietro nella e per la Chiesa. E questa preghiera sta allo sguardo della fede con cui siamo chiamati a considerare il successore di Pietro ed a valutarne il rilievo che non è da misurarsi con i criteri in cui il mondo spesso cerca di ingabbiarne la figura.
Affidarci alla preghiera, affidare il Papa alla preghiera, vuole dire anche prendere le distanze da criteri e metodi nei quali la Chiesa non si riconosce. Significa libertà del mondo e quindi fedeltà al compito affidato da Gesù  di essere testimoni di santità, annunciatori di verità e non fidando tutte sulle nostre forze ma, unicamente confidenti nell’agire misterioso di Dio che opera anche attraverso la nostra povertà, di quel Dio che risana, che conforta, che rinnova, che purifica in Cristo Gesù.
E il Papa ha fatto tutto e detto tutto perché non venga a mancare il rapporto con Cristo, pietra angolare, anche da parte di chi si fosse sentito tradito dagli uomini della Chiesa e dai loro errori. Cristo non va abbandonato. Egli è la pietra angolare. Il mio discorso è passato dal parlare del Papa al parlare di noi e questo mi è spontaneo. Lo sguardo di fede ci fa guardare a Pietro come la roccia visibile sulla quale Cristo fa appoggiare la Sua Chiesa, lo abbiamo ascoltato ancora dal Vangelo di Matteo, con la certezza che non prevarranno su di essa le porte degli inferi. Ecco, noi siamo qui con questa fede, ma lo stesso sguardo ci porta a considerare noi, poggiati su questa roccia, a formare quest’unica Chiesa. Dunque ci troviamo qui anche per assumere le responsabilità che in questo  momento ci competono, responsabilità di farci carico della sofferenza della Chiesa oggi, di farci carico della Sua purificazione e del Suo rinnovamento interiore. Il Santo Padre, nella lettera alla Chiesa d’Irlanda, ha identificato tra l’altro nella rilassatezza che viene dalla vita facile, dal disattendere la frequente confessione quindi la via di conversione, dal disattendere la preghiera quotidiana, i momenti di ritiro, cioè il tempo dedicato alla vita interiore, alla riflessione, le cause del dramma là accaduto ed  ha chiesto una Chiesa purificata dalla penitenza e rinnovata dalla carità pastorale. Ebbene, mi sento di chiedere a questa mia Chiesa di Chiavari, espressione dell’unica Chiesa cattolica di rispondere a questo invito, di farlo suo, di farlo nostro quindi con serietà. Non sia un’esortazione di occasione quello che sto per fare, impegnamoci in una sincera conversione personale e comunitaria, avviciamoci ai mezzi di grazia che lo favoriscono, specie ai sacramenti. Se c’è stata un’esperienza drammatica altrove, non si debba ripetere qui perché abbiamo trascurato questi mezzi di grazia. Facciamo gesti di penitenza personale e comunitaria, gesti di sobrietà, di essenzialità di vita, di rinunce in favore della carità per i più poveri, per essere così uniti al puro amore per la passione dolorosa di Cristo. Preghiamo, ritroviamo le strade di una preghiera più intensa, preghiera di intercessione per chiedere il bene della Chiesa, preghiera specie in famiglia. Anche noi sentiamo rivolto a noi stessi l’invito:”Tu seguimi
”.