La Chiesa ricorda domani il quinto anniversario dell’inizio del Ministero Petrino di Benedetto XVI

<br />CITTA’ DEL VATICANO – Il 24 aprile di cinque anni fa, Benedetto XVI inaugurava il suo Ministero, presiedendo in una affollatissima Piazza San Pietro la Messa di inizio Pontificato. Nella lunga, intensa omelia che caratterizzò quella cerimonia, il neo eletto Papa mostrò con chiarezza quella profondità di pensiero che sarà un tratto distintivo di tutti i suoi successivi insegnamenti.Un Papa parla alle anime per definizione. Ma se si vuole sentir parlare l’anima stessa di un Papa, toccare quasi i suoi sentimenti umani più profondi, i suoi pensieri spirituali più intimi, c’è un tempo e un luogo irripetibili: la Messa di inizio del Ministero Petrino, la massima celebrazione nella quale per la prima volta il nuovo Pastore si mostra al gregge come sua guida suprema. Le parole pronunciate quel giorno sono come un lampo nel buio, uno squarcio di luce che rivela in un solo istante quanto e più di ciò che nei giorni successivi, nei mesi e negli anni, assumerà la sostanza e gli argomenti di un magistero ragionato. In quella particolare celebrazione, il nuovo Papa offre le primizie della sua anima e della sua umanità, della sua indole e della sua cultura, in una sintesi tesa a trovare parole per comunicare il mistero privato che una fumata bianca ha reso universale: l’essere il Vicario di Cristo in terra e, insieme, il Servo dei servi di Dio; l’alfa e l’omega di un ministero che non ha eguali al mondo. Anche ad anni di distanza, in quelle primizie è sempre possibile rintracciare il senso del ministero. Così accade oggi se l’orecchio del cuore ritorna agli echi di Piazza San Pietro, in quel 24 aprile 2005: “Ed ora, in questo momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l’intera schiera dei santi, rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di Dio con gli uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi accompagnano”. Anzitutto, quel giorno, il nuovo Papa comunica alla Chiesa una certezza: sei viva. Sei giovane. Come quei giovani, e non più tanto giovani, che per giorni, in un gigantesco e paziente affluente umano, hanno voluto portare l’ultimo bacio e il sussurro di una preghiera a Giovanni Paolo II. All’ombra del grande Papa adesso c’è un nuovo inizio, dice il nuovo Papa. E dalla cifra di una personalità per anni descritta con stucchevoli clichè, attribuibili a un burbero quanto generico “sorvegliante”, si staglia uno sconosciuto ma autentico tratto caratteriale, l’umiltà: “Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia”. L’uomo diventato Papa parla del ruolo del Pastore. E’ un ruolo che richiede una consapevolezza che lui ha maturato servendo la Chiesa da un vertice che esigeva equilibrio, misura, trasparenza. Ed è consapevole dell’esistenza di “deserti” umani che fanno spavento e sono conosciuti – la miseria, la fame – e di abissi interiori che lui e in pochi conoscono:”Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione”.
E’ riconosciuto il male, ma anche la direzione della salvezza. Sono la Chiesa e i Pastori, afferma il nuovo Papa, che “come Cristo devono mettersi in cammino per condurre gli uomini fuori dal deserto verso l’amicizia con il Figlio di Dio”. Per quello e solo per quello si è chiamati al sacerdozio, si è cristiani:
“Noi esistiamo, pastori e cristiani, per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui”.
Altre parole ispirate, altre immagini che valgono da sole cento omelie (“Noi soffriamo per la pazienza di Dio” verso chi compie il male, “e nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza” perché “ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai suoi crocifissori”). Il nuovo Papa ha appena preso la parola e le sue parole rivelano una sapienza consumata. Ma il sapiente è, nel più profondo, un uomo umile, ai suoi primi colpi nella Vigna del Signore. Il nuovo capo di un corpo al quale chiede, e lo fa ancora oggi, il suo sostegno:
“Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge – voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”.