Niamey: si profila una nuova carestia, a seguito della crisi libica

NIAMEY – Per la regione del Niger, in centrafrica, si profila una pesante carestia. La già difficoltosa situazione economica è aggravata dai disordini nella vicina Libia, i bombardamenti di Tripoli e di Sirte. Si prepara, inoltre, la festa del Tabaski e i prezzi salgono. La carestia, tuttavia, rappresenta una vera e propria manna per i potenti locali. Se programmata e ben gestita è una fonte di ricchezza. E’ quanto si evince dai racconti di Padre Mauro Armanino, missionario nella capitale del Niger, Niamey. Vi riportiamo di seguito la sua corrispondenza.

“Inch’allah a Niamey e dintorni” Con questa benedizione ci siamo salutati e lui aveva le lacrime agli occhi. Emad è sudanese e ha lavorato 24 anni in Libia. Lì ha trovato anche la sua compagna di viaggio e hanno due figli. Il più grande si chiama Souleymane e ha sette anni. I soldi del lavoro di questi anni sono rimasti bloccati in banca e lui ha dovuto scappare a causa della guerra. Si telefonano e ha nostalgia di lei e dei figli.Si trova assieme a Adjab, anche lui sudanese del Darfur. La sua famiglia è stata distrutta e lui, dopo sette anni di lavoro in Libia, ricomincia di nuovo. Ha trent’anni e buona parte della sua vita se n’é andata attraversando paesi e guerre. Sono accampati nella casa dell’ufficio internazionali delle migrazioni fino a lunedì e poi devono trovare un posto per alloggiare, un lavoro per sopravvivere e un’orizzonte per sperare. Siamo a Niamey e si profila la carestia e per tanti organismi e potentati locali è una vera manna perché la povertà ben gestita e programmata è fonte di ricchezza e di potere per tanti altri. Come i capri che attraversano le strade di Niamey. Si prepara la festa di Tabaski e i prezzi naturalmente salgono per il prossimo sacrificio condiviso. Inch’Allah, se Dio vuole. Non vuole la carestia, la miseria, i bombardamenti di Tripoli e di Sirte e le immagini di sangue, la storia dei potenti e dei truffatori, non vuole che si muoia per mancanza di dignità. Eppure Inch’Allah. Diceva di chiamarsi Aida e il suo vero nome è Fati. Non dice mai il suo vero nome all’inizio. Suo padre è nigerino e la madre del Togo. Lavora in un bar e fa le ore piccole. Le ragazze di bar non sono ben viste e per buona parte sono immigrate o straniere residenti. La notte si fa spazio anche a Niamey. Le case di incontro e gli alberghi a ore cammuffati da ristoranti e trasformati di giorno in tranquille sedi di convivialità.Faceva la parrucchiera e vorrebbe poter ricominciare il suo mestiere qui e dice che le andrebbe molto bene.Sotto i veli di giorno ci sono i capelli della notte e dei cortili chiusi dei cortili di Niamey.L’altra vita si svolge dietro i muri di cinta, Inch’Allah. Emad è più anziano di Adjab e diceva che per una volta c’erano occhi compassionevoli che gli parlavano. Non finiva di ringraziare e non mangiavano da due giorni perché avevano finito gli spiccioli che avevano portato scappando. Non vogliono tornare in Sudan perché c’è ancora la guerra che gli altri continuano a fabbricare, con ostinazione, da anni. Darful e il Sud Sudan, si sentono i nomi e sanno di deserto e di sofferenze non raccontate o tradite, Inch’Allah.Quando parla dei suoi figli e della compagna i suoi occhi si allontano. E inseguono le parole del telefono portatile che come un filo invisibile avvicina le distanze e allontana le vicinanze.Chiama ogni giorno e spera che potranno incontrarsi da qualche parte per dirsi ancora l’ostinazione di amarsi. I carri condotti da asini e dromedari attraversano la notte di Niamey.Passano il primo ponte e anche il secondo. Frutto dell’amicizia con la Cina e col petrolio che dovrebbe essere iniziato ad estrarre tra qualche mese. A Zinder, non casualmente ai confini con la Nigeria,si sta completando la raffineria e intanto salta la luce in capitale, proprio come in Nigeria. Che produce petrolio per gli altri e arricchisce quelli che lo commerciano, Inch’Allah. Portano l’erba per dare il sostegno finali ai capri e alle pecore che iniziano a sospettare come potrebbe terminare il loro soggiorno fin troppo effimero e scontato in questa epoca. Si uniscono le famiglie e si condivide l’arrosto con i vicini e con coloro con i quali esistono relazioni di parentela o di complicità. Se Dio vuole aiuterà Enmad e Adjab e Aida il cui vero nome è Fati e dice di essere crisiana e va in una delle chiese che inseguono Niamey. Come gli striscioni verdi di questi giorni che invece di fare la pubblicità Moov, una delle compagnie telefoniche, annunciano che Gesù è arrivato per guarire. E questo grazie ad un pastore americano che si fermerà appena qualche giorno a Niamey, Inch’allah.

Mauro armanino, Niamey, ottobre 2011