Niger: i racconti di Padre Mauro Armanino

NIGER – I racconti di padre Mauro Armanino missionario in Niger. “L’orologio di marca e le vite di scarto – Emad è tornato in Libia domenica scorsa. Dopo aver passato qualche mese a Niamey a causa della guerra di liberazione del petrolio in Libia. Sua moglie e i figli sono nei pressi di Brak, ad un centinaio di kilometri da Sabha. Era commosso e diceva di essere triste e contento. Perché torna dalla sua famiglia e perché ne lascia un’altra. Quella che ha trovato a Niamey che per la prima volta non gli ha chiesto se lui era musulmano o cristiano. Ha creduto Emad prima di accorgersi che era una persona umana. Come un uomo sulla terra. Prima ancora di essere rifugiato o migrante.

L’orologio che ha regalato è di buona marca. Firmato Paul Jardin marchio registrato. Un regalo prezioso perché testimone del tempo convissuto. Quello passato insieme quando Emad era ancora senza casa, senza cibo, senza lavoro e senza futuro. Un regalo ben confezionato e offerto di nascosto come la sua vita. Una confezione da regalo di classe. I polsini per una camicia non stirata. Una spilla per la cravatta che solo i funzionari usano. Un portachiavi per le porte che fingono di aprirsi. E un portamonete di stile classico a scompartimenti per i soldi che non ci sono. Il marchio di Paul Jardin Ambassador su tutto, confezione compresa. C’era persino la targa di plastica col prezzo scritto a caratteri dorati. Segnalava sbadatamente duecentocinquanta dollari con la $.

Piangeva Emad e ha promesso che avrebbe scritto una volta raggiunta la sua famiglia in Libia. Ha fatto dono anche del suo materasso per chi ne avrebbe avuto bisogno dopo di lui.Ha portato con sé solo il necessario per farsi il té durante il lungo viaggio.Sono molti a voler tornare in Libia ora che il paese è stato dimenticato dalle politiche ma non dalle imprese di ricostruzione. Bombardare e poi ricostruire sono facce della stessa moneta imperiale. Farà avere notizie quanto prima se nel frattempo non sarà stato arrestato oppure la sua famiglia non avrà cambiato di residenza.

 

Loro incvece erano una ventina e anch’essi di marca. Tutti liberiani e un giovane della Sierra Leone. Tra loro anche due donne. Altri quattro liberiani sono ospiti della prigione civile di Niamey. Espulsi dall’Algeria o scappati dalla Libia dopo aver lasciato la Liberia a causa della guerra e della sottrazione del futuro. Quest’ultimo è il peggiore dei furti e non è risarcibile. Sono vite di scarto che passeranno inosservate persino alle statistiche. Non hanno documenti. Non hanno casa. Non hanno da mangiare. Non hanno soldi. Non parlano francese. Non sono uniti. Non vogliono tornare al paese. Non hanno buona fama. Non ricevono soldi. Non interessano.Non esistono da nessuna parte.

Mi veniva da piangere quando hanno cominciato a cantare i canti liberiani in terra straniera e pensavo che la mia lingua si attaccasse al palato. Se mi fossi dimenticato di Monrovia e della guerra e dei canti di gioia . Seduto accanto alla sabbia di questa terra e nei pressi del secondo ponte di Niamey sul fiume Niger. Babilonia era lontano un tiro di sasso. Sono migliaia i rifugiati che dal confinante Mali hanno fuggito i combattimenti per la libertà di qualcuno e la fuga di altri. Sotto i salici inesistenti hanno appeso le loro speranze. Vite di scarto fino alla prossima guerra o all’armistizio provvisorio che da sempre sancisce la pace dei poveri.

Johson, Clark, Zoga, Reina, Henry, Cisse, Jerry, Pokesay, Terry, Prince, Neuwan, Moustafa, Fefferson, Enjoy, Antony e infine Samuel Becket, quello di aspettando Godot. C’è chi avrebbe voltuto continuare il viaggio da qualche parte e chi invece fare fortuna prima di tornare al paese. Non si torna in Liberia a mani vuote dopo aver speso tutti quegli anni migranti. Thank God we are alive. Grazie a Dio siamo vivi. Diceva la gente di Monrovia dopo una notte cullata da colpi di arma da fuoco. Alcuni vorrebbero imparare un mestiere e altri iniziare a fare business col nulla.

L’orologio di Emad racconta il tempo che rimane per tornare dall’esilio. La confezione evidenzia che l’orologio, i polsini, la spilla, il portachiavi e il portamonete sono, come il ponte, made in China.

 

Mauro Armanino, Niamey, Febbraio 2012