CHIAVARI – Il discorso di Don Federico Pichetto a Don Pino De Bernardis letto al termine del funerale celebrato in Cattedrale a Chiavari.
Eccellenze Reverendissime,
cari amici,
sono stato studente di don Pino de Bernardis al liceo Delpino. Ho assistito ai suoi ultimi anni di insegnamento e, come molti qui presenti, ho potuto partecipare alla festa che la scuola gli organizzò nel suo ultimo giorno di lavoro, prima della pensione. Una festa per lui sofferta. Il mio è un cammino simile a quello di tanti che sono qui e che sono stati letteralmente travolti da un uomo che aveva un’energia di vita incontenibile. Il primo giorno di scuola, alla prima ora di lezione, ci chiese il nome. Quando arrivò il mio turno e dissi: “Federico”, esclamò – con quegli acuti che ti facevano sobbalzare sulla sedia – “Federico, chi? Chi sei Tu?”. Ecco, era questa la domanda tremenda che ti ponevano costantemente gli occhi di don Pino de Bernardis. Per cui, in fondo, da lui spesso ti nascondevi. Temevi che in intervallo ti venisse a dire che non dovevamo stare sempre fra di noi, che ti chiedesse conto dell’amicizia con i più piccoli, che ti facesse notare che il tuo tempo – il nostro prezioso tempo – era dedicato a tanto e a tanti, ma non era in fondo dedicato a nessuno. Con don Pino stavi sempre sulla corda. E questo te lo rendeva terribilmente fastidioso. Perché con lui non potevi vivere come tutti, con lui – lo capisco solo adesso – non ti potevi dimenticare di te. E’ come nelle grandi storie, quando c’è un protagonista riottoso che viene continuamente ripreso da una figura che, con benevolenza e decisione, richiama all’avventura, richiama al cammino, richiama allo scopo. Don Pino non voleva che nessuno di noi si perdesse la propria avventura, quell’avventura che è il coinvolgimento appassionato nei sentimenti e nei desideri della Trinità, dentro la vita della Chiesa.
Vedete, care Eccellenze, io adesso mi rendo conto che don Pino mi ha fregato: perché tutta la mia ribellione, tutto il mio prendere le distanze, tutto il mio marcare il terreno rispetto alla vita, alle grandi questioni della storia e alla sua personalità, in fondo per lui non era affatto importante, affatto significativo. A lui non interessavano i nostri capricci, perché lui sapeva che in tutti noi era stata posta una domanda, quella domanda – Chi sei tu? E potevamo dunque dire, fare ed essere quello che volevamo, ma di quella domanda non ci saremmo mai più disfatti. Ha barato, sapeva che quel desiderio risvegliato sarebbe diventato tormento inestirpabile al punto che in tanti oggi siamo qui perché, all’udire la notizia della sua morte – proprio come accadde nel villaggio dell’Innominato – non si poteva star fermi, non si poteva non correre, non si poteva non esserci. E Chiavari stessa, il Tigullio stesso, oggi – guardando questa folla, questa gente, questi ragazzi un po’ cresciuti – non può non chiedersi “Che cosa c’è di nuovo in questo paese?”.
Caro don Pino, ci sei stato padre quando alcuni di noi non avevano più padri e ci sei stato padre quando altri di noi non avevano alcuna voglia di essere figli. Il tuo profumo di pulito perfetto, le tue parole storpiate, i tuoi modi di dire inconfondibili, le tue parole chiave – ragione, compagnia, metodo, preferenza, unità, ma anche budini, il “seminario a dieci anni e mezzo”, Portofino, i Night Club pronunciati come Nicheteclubbete – non potranno facilmente essere dimenticati. Come non potremmo mai dimenticare il bene che ti ha voluto Ondina, le telefonate ad ogni compleanno, i messaggini che avevi imparato a maneggiare negli ultimi anni, la rassegna stampa quotidiana. Tutto questo, per chi è stato tuo studente e amico, è già leggenda. Ma quello che in fondo tutti noi che siamo qui non potremmo dimenticare, e che ci riempie di responsabilità anzitutto verso noi stessi, è quella domanda, quello sguardo, quell’incredibile testardaggine che ti rendeva così simile ad un padre, ad ogni padre. “Se anche voi ve ne andaste tutti, io ricomincerei”. Questo ci ripetevi incessantemente tra i banchi di scuola del Liceo Delpino. E adesso, oggi, tocca a noi ricominciare. Tutto quello che oggi vediamo, infatti, è la tua eredità: la nostra unità è la tua eredità. Ed è qui per noi, chiunque siamo, qualunque strada abbiamo attraversato, qualunque storia abbiamo vissuto. Chi sei tu? Quel giorno, a 14 anni, la domanda fu posta. E da allora la vita non è altro che lo spazio della risposta.
A presto, amico mio.
Don Federico Pichetto