CITTA’ DEL VATICANO – Un invito ad essere artigiani di “comunione” e di “fraternità” nella vita quotidiana e in famiglia, praticando “la pazienza, il dialogo, il perdono”. Lo sguardo di Papa Francesco all’Angelus si è soffermato su quelle popolazioni che oggi soffrono a causa di violenze e conflitti, come nella regione del Kasai Centrale in Repubblica Democratica del Congo, da dove giungono – riferisce il Pontefice – notizie di scontri “brutali”. Il Papa sente “forte” il dolore per le vittime, specialmente per la “tragedia” dei tanti bambini “strappati alle famiglie e alla scuola” per essere “usati come soldati”. Assicura vicinanza e preghiera, anche per il personale religioso e umanitario che opera in quella che definisce una regione “difficile”:
“Rinnovo un accorato appello alla coscienza e alla responsabilità delle autorità nazionali e della comunità internazionale, affinché si prendano decisioni adeguate e tempestive per soccorrere questi nostri fratelli e sorelle. Preghiamo per loro e per tutte le popolazioni che anche in altre parti del Continente africano e del mondo soffrono a causa della violenza e della guerra”.
Quindi un pensiero e una preghiera per le “care” popolazioni di Pakistan e Iraq, colpite nei giorni scorsi da “crudeli” atti terroristici: “Preghiamo per le vittime, per i feriti e i familiari. Preghiamo ardentemente che ogni cuore indurito dall’odio si converta alla pace, secondo la volontà di Dio”.
Partendo dalla riflessione sulla “rivoluzione” cristiana annunciata da Gesù che – come spiega il Vangelo odierno di Matteo – mostra “la via della vera giustizia mediante la legge dell’amore” che supera quella del “taglione”, cioè occhio per occhio e dente per dente, Francesco nota come Gesù chieda ai discepoli di “reagire” al male non “con un altro male”, ma “con il bene”. “Solo così si spezza la catena del male: un male porta un altro male, un altro porta un altro male… Si spezza questa catena di male, e cambiano veramente le cose. Il male infatti è un ‘vuoto’, un vuoto di bene, e un vuoto non si può riempire con un altro vuoto, ma solo con un ‘pieno’, cioè con il bene. La rappresaglia non porta mai alla risoluzione dei conflitti”.
Il rifiuto della violenza, spiega, non vuole dire ignorare o contraddire le esigenze della giustizia: l’amore cristiano, che si manifesta “in modo speciale” nella misericordia, rappresenta una “realizzazione superiore” della giustizia. Gesù, prosegue, insegna infatti la “netta” distinzione tra giustizia e vendetta.
“La vendetta non è mai giusta. Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell’odio e della violenza”.
Il “comandamento dell’amore del prossimo” – e non un nuovo “ordinamento civile” – che Gesù propone comprende anche “l’amore per i nemici”: ciò non vuol dire approvare il male compiuto dal nemico, ma è l’invito a una prospettiva “superiore”, “magnanima”, perché anche il nemico “è una persona umana”, creata a immagine di Dio, sebbene “offuscata da una condotta indegna”:
“Quando parliamo di ‘nemici’ non dobbiamo pensare a chissà quali persone diverse e lontane da noi; parliamo anche di noi stessi, che possiamo entrare in conflitto con il nostro prossimo, a volte con i nostri familiari. Quante inimicizie nelle nostre famiglie, quante! Pensiamo a questo. Nemici sono anche coloro che parlano male di noi, che ci calunniano e ci fanno dei torti. E non è facile digerire questo. A tutti costoro siamo chiamati a rispondere con il bene, che ha anch’esso le sue strategie, ispirate dall’amore”.