ROMA – Un nuovo passo nel lungo cammino ecumenico è stato compiuto ieri. Papa Francesco ha visitato la Chiesa anglicana di Ognissanti a Roma: mai nessun Pontefice si era recato presso questa comunità che festeggia quest’anno il bicentenario della sua presenza nella capitale. Una nuova tappa significativa a 50 anni dall’inizio del dialogo ecumenico tra cattolici e anglicani. Nel corso della visita, Francesco ha benedetto la nuova icona di Cristo Salvatore ed è stato ufficializzato il gemellaggio tra questa parrocchia e quella cattolica di Ognissanti.
Dopo aver ricevuto il benvenuto da parte del reverendo Jonathan Boardman e del vescovo Robert Innes, il Pontefice ha ringraziato per l’invito ed è subito entrato nel vivo della visita: il desiderio di camminare insieme ormai lontano dal sospetto, dalla diffidenza e dall’ostilità reciproci del passato. La sua riflessione parte dall’icona del Cristo Salvatore, da lui benedetta. Ed è proprio il bisogno della misericordia divina, unito all’umiltà, la chiave di volta nel cammino ecumenico odierno: “Diventare umili” e “riconoscersi bisognosi di Dio, mendicanti di misericordia”. E’ questo “il punto di partenza – dice il Papa – perché sia Dio ad operare”. Cattolici e Anglicani – ha detto ancora Francesco – su queste basi sono chiamati a camminare insieme, attraverso la testimonianza concorde della carità, con la quale si rende visibile il volto misericordioso di Gesù.
Infine, il dialogo del Papa con i fedeli presenti. Tre domande: una sul rapporto oggi tra cattolici e anglicani:
“Il rapporto tra cattolici e anglicani oggi è buono, come fratelli. E questo è importante, ma strappare un pezzo dalla storia e portarlo come se fosse un’icona dei rapporti non è giusto. Un fatto storico deve essere letto nell’ermeneutica di quel momento, non con un’altra ermeneutica. Ma è vero che nella storia ci sono cose brutte. ‘Oggi va meglio, ma non facciamo tutte le cose uguali… Ma camminiamo insieme, andiamo avanti insieme. E dobbiamo continuare su questo”.
Una seconda domanda su quali siano le tappe da seguire nel dialogo ecumenico, tra teologia e azione sociale:
“Ambedue le cose sono importanti. Non si può fare il dialogo ecumenico fermi. Il dialogo ecumenico si fa in cammino perché il dialogo ecumenico è un cammino e le cose teologiche si discutono in cammino. Ma nel frattempo noi ci aiutiamo, noi, uno con l’altro nelle nostre necessità, nella nostra vita, anche spiritualmente ci aiutiamo. Si deve cercare il dialogo teologico per cercare anche le radici, sui sacramenti, su tante cose su cui ancora non siamo d’accordo. Ma questo non si può fare in laboratorio: si deve fare camminando, lungo la via”.
Poi una terza domanda su come migliorare i rapporti alla luce di quanto di buono fanno le Chiese del Sud del mondo:
“Le Chiese giovani hanno una vitalità diversa, perché sono giovani. Per esempio, io sto studiando, i miei collaboratori stanno studiando la possibilità di un viaggio in Sud Sudan, perché sono venuti i vescovi, l’anglicano, il presbiteriano e il cattolico, tutti e tre insieme a dirmi: ‘Per favore, venga in Sud Sudan, soltanto una giornata, ma non venga solo, venga con Justin Welby’, l’arcivescovo di Canterbury. Da loro, Chiesa giovane, è venuta questa creatività. E stiamo pensando se si può fare, anche se la situazione è troppo brutta laggiù… Ma lo dobbiamo fare, perché loro, tutti e tre insieme, vogliono la pace e loro lavorano insieme per la pace”.
Rimane, dunque, vivo l’intento della Dichiarazione comune firmata nell’ottobre scorso tra Papa Francesco e il primate della Comunione anglicana, Justin Welby: la volontà di andare oltre gli ostacoli verso la piena unità e il desiderio di un cammino ecumenico, che non sia solo teologico, ma nelle azioni concrete su temi comuni, come la cura del Creato, la carità e la pace.