Tripoli: accorati appelli affinchè si ponga fine all’intervento militare

TRIPOLI – Da Tripoli giungono accorati appelli per porre fine all’intervento militare della coalizione internazionale. Sulla situazione nella capitale, radiovaticana ha intervistato il vicario apostolico della città, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli: – Dopo tre giorni di bombardamento, la situazione è quanto mai cruda, terribile. Di notte le bombe non ci fanno più dormire. La città è diventata uno spettro, c’è silenzio, mortificazione, umiliazione. Tanta gente è partita dalla città, è andata nel proprio paese d’origine perché è impossibile rimanere in città. C’è veramente un’aria da cimitero. E’ vero che le bombe sono state sganciate su dei siti precisi, però la città, in un modo o in un altro, risente di queste esplosioni in piena notte. E’ davvero incredibile come, ancora oggi, si possa vivere questo tipo d’esperienza con un Paese con cui, per anni, è stata costruita con tanta pazienza e difficoltà un’amicizia che era veramente invidiabile, con tutta l’Europa e soprattutto con l’Italia.

D. – Il Papa, all’Angelus, ha chiesto che siano assicurati l’incolumità per la popolazione e l’accesso agli aiuti umanitari. Quali sono, a questo punto, le vie che secondo lei si possono ancora percorrere per arrivare ad un’autentica riconciliazione?

R. – Bisogna porre fine ai bombardamenti, fissare una tregua e cercare di vedere, se è possibile attraverso una mediazione, attraverso contatti di persone vicine al governo libico, di trovare una soluzione. Il Santo Padre ci ha invitato alla preghiera. Noi la preghiera la viviamo quotidianamente con il gruppo di religiose presenti. La viviamo con il piccolo resto del popolo di Dio, che è rimasto mentre molti altri sono partiti. La viviamo proprio con fede profonda, convinti che solo la preghiera, solo Dio può muovere i cuori. Ma non sono le bombe che possono darci la pace.

D. – Questo, eccellenza, è il suo accorato appello alla comunità internazionale. Quali, invece, le sue parole al governo libico?

R. – La mancanza del governo libico è stata quella di non aver ascoltato la crisi generazionale di questi ultimi tempi, perché c’erano giovani che reclamavano diritti e forse si era mostrata più preoccupazione per la violenza o altre cose. Ho detto più volte che bisogna ascoltare questi giovani, bisogna dar loro speranza, perché ciò che non viene ascoltato poi può generare violenza dentro di loro.

D. – Gli attacchi sulla Libia stanno ovviamente spingendo molti stranieri – ed anche molti cattolici – a lasciare il Paese. Lei, invece, ha deciso di restare accanto alla popolazione…

R. – Moltissimi sono partiti. E’ rimasto il piccolo resto del popolo di Dio. Io non posso lasciare, noi non possiamo lasciare la gente. E non soltanto i cristiani, ma anche gli amici libici, i quali ci dicono: “Grazie di essere rimasti con noi, grazie di darci ancora speranza. La vostra presenza è segno di speranza”. E’ bello perché si capisce che tutto quello che si è, non tanto quello che si fa, diventa poi un incoraggiamento vicendevole a trovare la via della pace. Tanti amici musulmani mi hanno detto: “Noi preghiamo come voi, pregate per la pace”. Mi auguro che la forza della preghiera possa aiutare la gente a ritrovare il valore dell’amicizia e del rispetto di un altro popolo – per quanto esso sia diverso – e che si possa ritrovare sempre il cammino del dialogo nella pace.